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Ipocondria: trattamento cognitivo-comportamentale

L’ipocondria  è una preoccupazione legata ad una paura o convinzione di avere una malattia grave, basata su una erronea interpretazione di sintomi somatici da parte della persona (DSM –IV). Questo nonostante ci sia stata una valutazione e una rassicurazione medica appropriata, con numerosi test diagnostici e visite mediche, che non riescono a ridurre la preoccupazione né tanto meno a rassicurare il soggetto. La persona rimane costantemente attenta ad ogni piccolo cambiamento somatico, monitorizza il suo corpo alla ricerca della presenza di eventuali segni di malattia, ha la ferma convinzione che i medici contattati non siano stati in grado di capire la vera natura del suo problema e quindi di fornire una soluzione adeguata; riferisce spesso numerosi malesseri quali mal di testa o mal di stomaco o dolori alla schiena, ma è soprattutto la costante preoccupazione di avere la malattia che causa il  disagio maggiore. La  preoccupazione è legata alla “paura di avere una malattia”, non è la preoccupazione per la malattia, la persona non riesce mai a trovare una risposta adeguata al suo malessere perché non viene affrontato il suo vero problema: la ferma convinzione di avere una malattia,  l’elemento cardine di una immagine si sé e della vita fortemente invalidante.

L’ipocondria solitamente si accompagna a disturbi dell’umore e dell’ansia (ipocondria secondaria), tanto che gli ipocondriaci “puri” solitamente sono pochi, appannaggio soprattutto degli ambulatori di medicina generale e degli specialisti (Warwick, Salkovskis, 1990). L’ipocondriaco vero (ipocondria primaria) non riconosce la natura del suo problema e  fa diventare il suo problema quello che in effetti è solo la conseguenza (non chiede un aiuto psicologico o una psicoterapia).

L’incidenza nella popolazione dell’ipocondria nel mondo è del 5% e può esordire ad ogni età, sebbene la più colpita sia l’età adulta (con un picco la tra la quarta e la quinta decade), mentre è rara nell’infanzia e più frequente in età adolescenziale e nella vecchiaia. L’ipocondria si riscontra  in ambedue i sessi, anche se quello femminile sembra essere maggiormente soggetto; il decorso tende a cronicizzarsi, con andamento vario e sembra guarire spontaneamente solo un decimo dei pazienti.

I segnali fisici mal interpretati e la costante attenzione al corpo non sono però l’unico punto di partenza dell’allarme dell’ipocondriaco, bensì possono esserlo l’allarme di malattie apprese dai mezzi di comunicazione, la semplice divulgazione scientifica o parimenti il venire a conoscenza di patologie che hanno colpito amici o parenti: tutto questo può innescare la preoccupazione per un organo specifico o per una data malattia.

L’approccio di trattamento dell’ansia connessa allo stato di salute (ipocondria ed altri disturbi somatoformi) è molto simile a quello dell’attacco di panico, per il quale l’approccio cognitivo-comportamentale è quello più efficace in base alle evidenze scientifiche. Spesso in passato nei pazienti ipocondriaci si sono verificati degli attacchi di panico e inizialmente un trattamento che fronteggia il “circolo vizioso del panico” è molto utile per introdurre la spiegazione cognitiva (modello cognitivo), che serve ad affrontare e fronteggiare il problema ipocondriaco. Un trattamento ben riuscito degli attacchi di panico può rivelarsi un efficace mezzo di introduzione alla spiegazione cognitiva del ”circolo vizioso dell’ansia connessa alla salute”, che aiuta a risolvere il problema ipocondriaco e ad eliminare la “credenza dell’erronea interpretazione catastrofica dei sintomi”,  che influisce in modo significativo sui significati pertinenti l’autostima e l’identità personale (gli ipocondriaci hanno scarsa autostima e un’immagine di sé fragile, vulnerabile). La terapia cognitivo-comportamentale interviene sul rimurginio dell’ansia connessa alla salute, introduce e aiuta la persona a darsi spiegazioni alternative ai sintomi, a spostare il focus della sua attenzione dal corpo, agisce sulle credenze centrali dell’ipocondria (timore sproporzionato di danno, tendenza alla previsione catastrofica, timore dell’incertezza, timori legati alla valutazione di sé e bisogno di controllo), che contribuiscono a mantenere il disturbo (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006).

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